Il Bar dell'Ingegneria

Su Morandi

Quello che diceva l'Ing. Riccardo, quel che si dice oggi

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    (link) Riccardo illustra le opere dell'Ing. Morandi su "Rassegna Tecnica" agosto 1958: 60 anni fa!

    Edited by quattropassi - 22/8/2018, 10:18
     
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    Stralli in CAP ?
    L'ing. Massimiliano Pallotta fa questa osservazione "terminologica".

    CITAZIONE
    «Mi permetto questa nota perché in diverse circostanze ho sentito criticare il prof. Riccardo Morandi per non aver usato tiranti in acciaio ma in cemento armato precompresso.

    Fermo restando che il prof. Morandi ha utilizzato proprio tiranti in acciaio per realizzare gli stralli del suo ponte sul Polcevera, vorrei ribadire che il cemento armato che si può notare sugli stralli non è altro che un rivestimento a protezione dell'acciaio.

    D'altra parte molti converranno che la realizzazione di un tirante in cemento armato precompresso sia un'assoluta contraddizione in termini. Come già precisato, con un gruppo di cavi a parte, Morandi provvide a dare una leggera precompressione al cls per evitare che questo potesse entrare in trazione durante l'esercizio.

    Mi sono chiesto per quale motivo molti hanno ritenuto possibile una circostanza del genere (il tirante in cap) ed ho notato un post sull'argomento di un tizio che ha postato la foto di un ponte del ventennio segnalandolo come la prova "provata" di come si potesse progettare e costruire meglio quando c'era "Lui". In realtà, sebbene le foto, che allego a piè di nota, potrebbero indurre ad interpretare la struttura del ponte come un ponte sospeso, si tratta di ponti ad arco a via inferiore, interamente in calcestruzzo armato, con dei tiranti (in alcune foto hanno perduto il copriferro e mostrano che si tratta proprio di normali pilastri in cls sollecitati assialmente a trazione). Ponti peraltro di esigue dimensioni, localizzati prevalentemente nel mezzogiorno d'Italia e costruiti intorno agli anni '30 del secolo scorso. Opere sicuramente interessanti ma, dimensionalmente, al confronto dei ponti del Morandi, assolutamente insignificanti.

    PS la definizione esatta sarebbe: ponti ad arco a spinta eliminata e a via di corsa inferiore in cls armato.

    PPS foto 1: Ponte di Cassibile, foto 2: ponte di Cassibile visto di lato, foto 3: Ponte di Ruoti, foto 4: ponte di Bernalda. Ci sarebbe da considerare anche il Ponte sul Mera...»
     
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    Diceva l'Ing. Riccardo Morandi
    CITAZIONE
    Perchè STRUTTURE STRALLATE OMOGENEE
    Morandi quindi prosegue con alcune valutazioni di calcolo sui temi dei carichi e delle azioni, e sull’idea di proteggere i cavi di acciaio con guaine in calcestruzzo precompresso. E in tal senso ci spiega perchè abbia usato il termine OMOGENEIZZATI: “l’eliminazione concettuale delle fessurazioni nel calcestruzzo delle guaine garantisce una efficace protezione dell’acciaio dagli agenti atmosferici. I tiranti, quindi, almeno nelle condizioni di esercizio, si comportano come delle lunghe e sottili travi di calcestruzzo, precompresse e sollecitate essenzialmente a decompressione al passaggio dei carichi, pertanto il sistema, con tutte le sue membrature, avrà un comportamento comparabile e potrà considerarsi omogeneo. Questa è la ragione per cui si è ritenuto definire tali strutture PONTI STRALLATI OMOGENEIZZATI.”

    L'articolo su INGENIO (link)

    La durabilità del cls secondo l'Ing. Riccardo Morandi
    CITAZIONE
    "Alcuni decenni trascorsi a progettare, dirigere e supervisionare le costruzioni di ponti in cemento armato mi autorizzano ad esprimermi opinioni sulla loro durata e sulla frequenza di ripetuti inconvenienti che possono verificarsi nel corso del tempo. Cercherò di fare una classificazione sintetica di tale inconveniente e concluderò riportando il comportamento di due strutture, sia costruite che in funzione da diversi anni, una con la normale e l'altra con caratteristiche esplicative. Li ho scelti tra molti altri perché potrebbero sorgere osservazioni interessanti."

    L'articolo su INGENIO

    Morandi: Su alcune recenti realizzazioni di strutture in cemento armato e cemento armato precompresso - Articolo su INGENIO (link)

    CITAZIONE
    Su alcune recenti realizzazioni di strutture in cemento armato e cemento armato precompresso
    Nell'articolo sono molte le informazioni interessanti che si possono trovare per comprendere meglio le scelte che hanno portato alla progettazione del viadotto polcevera, tra cui una che parla proprio del sistema dei tiranti che è stato adottato, però del simile ponte realizzato sul lago di Maracaibo:

    "Se avessi previsto dei semplici tiranti di acciaio mi sarei imbattuto, per il passaggio dei carichi accidentali (pernso in particolare a quelli severissimi ferroviari) in due serie difficoltà: la prima che l'allungamento dei tiranti dovuti al suddetto passaggio dei carichi avrebbe lesionaito qualsiasi guaina in calcestruzzo gettata a loro protezione e che l'allungamento stesso sarebbe stato di tale entità da disturbare addirittura il transito dei veicoli ferroviari sul ponte (l'abbassamento della sede stradale sarebbe stato di circa 1 metro).

    Ho pensato quindi che se i cavi di acciaio fossero stati pretesi in maniera tale che una guaina di calcestruzzo preventivamente disposta intorno ad essi fosse risultata compressa, il passaggio dei carichi avrebbe operato su di essa soltanto una diminuzione di compressione, senza mai raggiungere il valore zero, per cui fossero da escludersi concettualmente le fessuraizonei e le deformazioni sarebbero state ridotte dal rapporto tra modulo elastico dell'acciaio e quello del calcestruzzo. E' da considerare inoltre che la componente orizzontale della reazione, in corrispondenza del punto di innesco del tirante della travata orizzontale, costituisce uno sforzo di autocompressione della travata che contribuisce sensibilmente alla buona risoluzione economica del problema."

    Le preziose considerazioni del Prof. Edoardo Cosenza

    CITAZIONE
    Prof. Cosenza, assolutamente da leggere per capire meglio il crollo del Ponte Morandi.

    “POST TECNICO E PURE LUNGO.

    Ho subito deciso di non partecipare al dibattito mediatico e mi avevano cercato persino BBC e TV tedesca. E soprattutto ho deciso di non avere ruoli nelle varie Commissioni. Sono un Componente del Consiglio Superiore dei Lavori Pubblici, il massimo organismo tecnico del MIT - e quindi dello Stato - e ritengo giusto non avere ruoli di parte.

    Affido solo alla mia modesta pagina Facebook qualche considerazione, senza filtri.

    Ed allora vorrei dire anche io qualcosa sul crollo.

    Non c'è dubbio che la crisi di uno strallo porta rapidamente al collasso dell'intero cavalletto e delle campate adiacenti. Il sistema nasce per essere fortemente compresso dagli stralli, una elevatissima compressione quasi centrata che fa lavorare in condizioni ottimali il calcestruzzo. Le piccole eccentricità che nascono per non simmetrie di carico o di altro, non credo che portino in trazione il calcestruzzo, nelle condizioni di progetto. Ovviamente la soletta da ponte invece è inflessa e perciò è stata precompressa.

    Con questo comportamento, praticamente pendolare, il collasso di uno o più stralli porta ad una rottura complessiva rapidissima. Nessun elemento è in grado di portare le enormi flessioni ed a catena, in frazioni temporali rapidissime, cede tutto. Con termini più mderni si direbbe che è una delle tante strutture "fragili" esistenti al Mondo, o con terminologia ancora più recente, "Poco Robusta".
    Ma questi ultimi sono requisiti che anche alle strutture moderne vengono chiesti da pochi anni con le nuove Norme Tecniche. E che non si possono chiedere a certi tipi di strutture anche usatissime oggi; su questo punto non mi posso soffermare.

    Dunque il cedimento di uno strallo equivale ad un arresto cardiaco.

    Ma il ponte è deceduto per arresto cardiaco? Con questa dizione medica che noi riteniamo un poco banale che alla fine non chiarisce? È chiaro che se c'è arresto cardiaco il paziente muore, ma perché c'è stato l'arresto?

    Cioè tornando ai termini ingegneristici, perché ha ceduto uno o più stralli? E il cedimento è una causa o un effetto?

    E quí viene la parte che merita silenzio. Perché può esserci stata corrosione degli stralli non prevista e non vista; oppure tensioni negli stralli da fatica ciclica troppo elevata; oppure cedimento improvviso del vincolo fra strallo e soletta; oppure vibrazioni da vento e pioggia (addirittura qualcuno ha parlato di fulmine) che hanno portato a sollecitazioni negli stralli assolutamente anomale; oppure ci sono stati cedimenti improvvise delle campate appoggiate sulle selle che hanno portato ad azioni flessionali dinamiche inaccettabili sul sistema strallato; oppure una combinazione delle cose che ho enunciato; oppure tanto altro ancora che adesso non mi viene in mente ...

    E perciò il silenzio. Solo analisi approfondite e complessive su: progetto eseguito, filmati disponibili, parti strutturali rimaste, materiali nello stato di vecchiaia attuale, condizioni di pioggia e di vento prima del crollo, magari prove su modelli, ecc ecc potranno far arrivare alle necessarie conclusioni. Che dovranno essere affidabili e che non dovranno lasciare dubbi. Nessuno, dico nessuno, ha il diritto di avanzare ipotesi senza questi studi.

    Nel rispetto delle povere vittime incolpevoli ed inconsapevoli e dei loro familiari di questa grande tragedia nazionale.

    A chi ha avuto la pazienza di arrivare fino in fondo di questo post di lunghezza eccessiva rispetto agli standard di Facebook ed al tempo di attenzione dei lettori, chiedo un ulteriore sforzo: Non mi chiedete altro. IO NON SO COSA SIA SUCCESSO e se me lo chiedete vuol dire che non avete compreso, certamente per mia poca chiarezza, quello che è scritto in questo post.

    Grazie”

    L'intervento su Facebook del prof. Cosenza (link)

    Edited by quattropassi - 22/8/2018, 10:19
     
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    Altre note dal progetto dell'Ing. Riccardo Morandi
    articolo INGENIO 20 agosto (link)

    CITAZIONE
    E Morandi evidenzia che "le luci, di così disparata ampiezza, trovano il loro legame di consezione in una serie di travste tutte uguali di calcestruzzo precompresso della luce di 36,00 m, vincolate a semplice appoggio su una serie di sistemi speciali, tra cui potremmo distinguere due diversi tipi fondamentali:

    il sistema a a cavalletto per le luci minori costituito da due stilate oblique collegate in testa da una travata a doppio cantilever di lunghezza variabile. Il tutto di calcestruzzo armato, vincolato al piede da una zattera a sua volta poggiata su una palificata fondale di pali trivellati dal diametro di 110 cm e di lunghezza variabile fino a 48 m.
    il sistema bilanciato per le luci maggiori. Detto sistema è costituito da una travata continua a 3 luci su quattro appoggi con due sbalzi teminali alle cui estremità sono appoggiate le travi da 36 m di cui sopra
    I due appoggi più esterni dei quattro vincoli della travata sono costituiti dai terminali di due tiranti in acciaio pretesi che passano al di sopra di un'antenna disposta in corrispondenza dell'asse del sistema dell'altezza di 90 metri da terra e di circa 45 m sul piano viabile del ponte".

    CITAZIONE
    il tratto delle grandi luci, ovvero tra gli appoggi 8 e 11.

    "Il tratto del viadotto delle grandi luci, e precisamente quello tra la pila 8 e la spalla 12, è costituito da tre speciali sistemi bilanciati dei quali i sistemi 9 e 10 sono identici.

    Si passa ad esaminare, ad esempio, il sistema n.9 che costituisce un'entità strutturale continua a sé stante e collegata al resto dell'opera da elementi seplicemente appoggiati su di esso ... il sistema bilanciato consta di una travata continua a tre luci con sbalzi terminali della lunghezza totale di 171,884 m, a sezione cellulare cava a cinque scomparti, con soletta estradossale dello spessore di 16 cm, n. 6 nervature dello spessore variabile da 18 cm a 30 cm ed una soletta intradossale dallo spessore di 16 cm. L'altezza della travata è variabile da un massimo di 4,5 m a un minimo di 1,82 m."

    CITAZIONE
    "I tiranti, costituiti da fasci di trefoli di acciaio speciale R = 170 kg/mm2 e del diametro nominale di mezzo pollice, sono collegati alla travata a mezzo di un apposito traverso e passano sopra l'antenna gravando su una speciale sella costituita da lamiere e profilati annegati nel getto del calcestruzzo. ... per tale fase il tirante singolo è costituito da 352 trefoli da mezzo pollice mentre la travata risulta praticamente priva di armatura logitudinale ..."

    Morandi si sofferma nel descrivere anche l'operazione dei omogeneizzazione dell'opera, spiegandone caratteristiche e, soprattutto, i vantaggi:

    "... i principali vantaggi che l'operazione di omogeneizzazione offre possono essere così riassunti:

    eliminazione della fessurazione delle guaine e quindi eliminaione della possibilità di danneggiamento dell'acciaio per l'opera degli agenti atmosferici attraverso lesioni;
    riduzione dell'ampiezza del campo di variazione delle sollecitazioni nell'acciaio con conseguente aumento della sicurezza per fatica dovuta a tensione ondulante";
    riduzione delle rotazioni della travata in corrispondenza degli appoggi sui ritti obliqui, per riduzione degli allungamenti dei tiranti al passaggio dei carichi accidentali;
    riduzione degli spostamenti longitudinali orizzontali della sommità del sistema antenna, per effetto di stese dissimmetriche di sovraccarichi accidentali"

    CITAZIONE
    Ecco il piano di esecuzione
    Il piano esecuzione è stato diviso in tre fasi successive:

    getto dell'antenna e del cavalletto
    getto simultaneo dei tratti C-D ed EF della travata
    costruzione delle guaine di calcestruzzo e loro messa in funzione
    Morandi in questa parte dell'articolo entra nei dettagli, riprendendo quindi tutti i passaggi per la realizzazione di questa fase davvero delicata di costruzione del viadotto, ricordando le precauzioni che sono state adottate per evitare problemi, come per esempio "La costruzione delle guaine di calcestruzzo è avvenuta avendo affidato ai tiranti le casseforme che hanno poi contenuto i getti. In un primo tempo tali getti sono stati suddivisi in conci di lunghezza di 3m, e questo perchè la variazione catenaria che si andava producendo nei tiranti per effetto del peso della guaina non inducesse in esso tensioni pericolose per distorsione"


    Edited by quattropassi - 22/8/2018, 10:19
     
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    Il retrofitting - Pubblicazione AICAP del 1993 ("Il Risanamento Degli Stralli del Viadotto sul Polcèvera")






    PS: Grazie alla pagina facebook di Ingegneria e Dintorni - Brian Ietto
     
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    L'ing. Gabriele Camomilla racconta «come e perché intervenimmo sugli stralli della pila 11 del Ponte Morandi nel 1992» (dal web, INGENIO del 21 agosto 2018) (link)

     
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    Gabriele Camomilla: Il ponte era oggetto di ispezioni accuratissime e costanti, anche alla sommità dei piloni 90 metri dal suolo.

    Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull’ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, sullo strallo lato Genova (lato nord), il cemento aveva lasciato scoperta una porzione d’acciaio e questo aveva portato alla corrosione per dissoluzione di circa il 30 % dei trefoli. Va sottolineato che le azioni a cui l’acciaio portante dello strallo lavorava (circa 7.000 kg) erano di gran lunga inferiori alle capacità di resistenza dell’acciaio che lo costituiva (15.000 kg).

    Il difetto costruttivo era questo: i fili ad altissima resistenza avrebbero dovuto essere tra loro tutti distanziati per essere tutti avviluppati dal calcestruzzo, che ha un notevole potere di protezione dalla corrosione delle strutture di acciaio. A causa di un difetto costruttivo, invece, tutti questi fili si sono trovati impacchettati in sommità alla pila, per cui non erano bene avviluppati dal calcestruzzo. Questo consentiva il passaggio di una parte di aria, e quindi l’attacco dell’acciaio.

    In pochi giorni avviammo l’intervento. Allora non c’era una legge che burocratizzasse la manutenzione, quindi fu relativamente semplice farlo, a parte le discussioni sul “come” farlo. Autostrade aveva una sua società di costruzioni, Italstrade Spa sempre IRI con la sua filiale locale ISA Appalti, e con essa avviammo l’intervento.


    ...
    CITAZIONE
    Ing. Gabriele Camomilla: Perché stiamo parlando degli anni sessanta. Perché stiamo parlando di uno dei primi progetti di ponti strallati al mondo che ha dato poi le basi per uno sviluppo tecnologico sui ponti strallati a livello internazionale. Perché in quegli anni non c’erano le tecnologie di oggi, in cui i trefoli sono inseriti in guaine in polietilene pesante ed ingrassati. Da non confondere con le abituali tecniche di protezione dei precompressi “normali”, basate su trefoli inseriti in guaine d’acciaio in cui sono pompati cementi speciali (sia per prestazioni che per reologia) per la protezione dell’acciaio.

    Nello strallo la protezione era costituita da conci in calcestruzzo che a strallo tesato, venivano precompressi con appositi ulteriori cavi, che impedivano che detto rivestimento protettivo andasse in trazione e si fessurasse al passaggio dei veicoli e/o per motivi di temperatura o altro Quella era la tecnologia innovativa morandiana per proteggere l’acciaio in un ambiente soggetto a forti aggressioni anche per come funzionano gli stralli che sono degli appoggi “dall’alto”, mobili sotto traffico.

    Il calcestruzzo era precompresso, per garantire l’assenza di fessure; solo in seguito si sono sviluppati gli stralli separati ad “arpa” ricoperti di polietilene pesante come quelli usati nella riparazione. La precompressione però la rendeva difficile come rende difficile qualsiasi demolizione incontrollata.

    Su questo vorrei evidenziare un aspetto di cui si è parlato in questo giorni molto poco e in cui invece si è fatto molta comunicazione allarmistica.

    Molti ponti in cui si raccontano problematiche di crollo imminente non stanno crollando ma hanno problemi sui copriferro carbonatati dalla CO2 e non più protettivi dei ferri esterni che per questo arrugginiscono ed espellono, con l’aumento di volume degli ossidi che si sono formati, la parte esterna del calcestruzzo non più protettiva Lo spessore di questi copriferro è molte volte più basso dello spessore delle protezioni degli stralli del Polcèvera che, per carbonatarsi completamente, hanno bisogno di più dei 60 anni passati. Tutti questi ponti aggrediti, ma ancora portanti, avrebbero bisogno di una manutenzione che ricostruisse le protezioni utilizzando, per esempio, malte reoplastiche a ritiro compensato frutto del genio del prof. Collepardi e la protezione catodica delle armature, altra eccellenza italiana applicata per esempio da me su alcuni ponti del vecchio Bologna Firenze e più recentemente dall’ANAS sul viadotto Sfalassà della Salerno Reggio credo nel 2011, prima che si interrompesse il suo completamento.

    Ci sono tecnologie oggi che consentono di poter rifare i copri ferro con una protezione catodica delle armature con interventi molto semplici. La tecnologia di intervento per contrastare il degrado e fare manutenzione è assolutamente disponibile, ma nessuno la impiega in modo sistematico; ripeto comunque che i ponti in linea di massima non corrono pericoli di crollo; certo dovrebbero essere attentamente valutati da esperti terotecnologi il cui unico vivaio oggi è costituito dai sorveglianti della rete autostradale a pedaggio, quella che si vuole statalizzare.
     
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    Andrea Dari (INGENIO): Che tipi di controlli eseguivate sul ponte ?
    Gabriele Camomilla: La sorveglianza continua nasce in Italia con il crollo del viadotto di Ariccia. Il 18 gennaio del 1967 una arcata centrali del Ponte di Ariccia ricostruita alla meglio nel dopoguerra, cadde rovinosamente e vi furono morti e feriti. Si era così poco abituati a questo problema che si pensò, inizialmente, a un attentato.

    Fu a seguito di quel crollo che si evidenziò l’esigenza della sorveglianza (non la manutenzione ancora)e nacque una norma che prevedeva che tutti i ponti dovevano errore controllati trimestralmente e, di conseguenza, le Autostrade a pedaggio, neonate, crearono uffici tecnici speciali in loco per fare detta sorveglianza. In seguto, con la creazione nella Società Autostrade della Direzione Studi e Manutenzione sulla base delle segnalazioni si creò un sistema scientificamente articolato che definiva il dove, ed il quando intervenire e come farlo: era nata la terotecnologia dei ponti. Naturalmente valutavano anche quanto sarebbero costati gli interventi, molti dei quali originali e specifici per riparare o mantenere. In essi le tecniche di intervento sui copri ferro, le più diffuse, ma anche quelle sui giunti, sugli appoggi e poi sui ritegni sismici reversibili, che hanno reso i ponti autostradali potenzialmente immuni dal terremoto per linee omogenee, cioè ad affidabilità sismica dello stesso livello.Le manutenzioni seguivano quindi queste direttive pianificate e preventive:

    Si eseguivano controlli essenzialmente di tipo visivo e non distruttivo eseguiti con grande frequenza. Questo prima dello scoprimento del difetto sulla pila 11; le altre due furono passate al setaccio con prove tradizionali di carbonatazione con fenoftaleina e rilievo dei difetti a cui furono aggiunti dei rilievi di deformazione esterni da trasmettere in un computer di stoccaggio. Poi si definirono dei controlli innovativi periodici basati su misure di flusso magnetico in grado di rivelare la variazione delle tensioni nei cavi: un aumento avrebbe significato potenziali riduzioni di sezione resistente. All’epoca la precisione dell’analisi modale dei modi di vibrare non era ancora ad un livello di precisione accettabile.

    Naturalmente le due pile 9 e 10 risultarono in perfette condizioni; solo sulla 10 si aggiunsero delle placcature esterne in acciaio per proteggere alcune disgregazioni superficiali della protezione che però non interessavano i tiranti.

    La tecnica a flusso magnetico era stata messa a punto negli anni 80 da un ingegnere romano, di cui non ricordo il nome, da noi interpellato per valutare la precompressione residua di alcune travi precompresse, fatte cadere e danneggiate dalle scosse sismiche mentre erano in fase di montaggio sul viadotto Tagliamento in costruzione dell’Autostrada Udine Carnia, la stessa tecnica usata per i tiranti del viadotto genovese Questo ci consentì di migliorare l’attività di monitoraggio. Il metodo infatti era molto sensibile, a differenza dell’analisi modale dell’epoca, che di fatto da risultati apprezzabili quando il danno è già visibile ad occhio nudo.
    ****
    Il Italia è nata la prima autostrada al mondo. Siamo stati noi con l’Impresa Puricelli di Milano, divenuta poi Italstrade a “inventare” e poi insegnare negli anni 20 e 30 come si realizzavano le autostrade. Dagli anni sessanta l’autostrada Firenze Bologna divenne il riferimento delle scuole di ingegneria dei ponti di tutto il mondo.
    Nei grandi 80 ponti presenti erano state adottate di fatto tutte le diverse tecnologie dei ponti che si conoscevano allora. Questo fu fatto al fine che ogni impresa titolare di lotto realizzasse quella in cui era più esperta (un viadotto ad arco gigantesco lo fece proprio Morandi).
    Ne derivò una varietà di tecniche amplissima, realizzata con velocità record e, naturalmente, con una serie di problemi successivi quando l’arteria divenne “l’aorta” d’Italia in sviluppo.

    La manutenzione migliorativa divenne una necessità ed una palestra ineguagliabile fu proprio il Bologna Firenze con i suoi mille problemi diversificati da risolvere con un traffico sempre crescente che non poteva interrompersi

    Fu creata quindi una direzione che oltre a occuparsi della manutenzione doveva fare ricerca, individuare tecniche di controllo e monitoraggio, tecnologie di manutenzione. E non ci occupavamo solo della sicurezza strutturale dei ponti ma di tutti i temi collegati alla gestione delle infrastrutture: per esempio le gallerie, i manti autostradali, le barriere di sicurezza, la prevenzione dei fenomeni franosi, , la segnaletica ed il verde specializzato per l’uso stradale…

    ***
    Andrea Dari: Un’ultima domanda. Ma nel 1992 non vi poste la questione della sostituzione del ponte ?
    Gabriele Camomilla: Qualcuno lo propose, ma in primo luogo la fierezza certa sul valore della struttura non disgiunto dal problema della demolizione comunque molto pericolosa per una struttura di quelle dimensioni, che passava sopra ferrovie e abitazioni, in mancanza peraltro di un’alternativa della viabilità genovese. La demolizione implicava una ricostruzione. Decisiva fu l’esperienza dell’Appennino dove, da giovane ingegnere, a seguito della sostituzione di un viadotto di tre campate in cui si erano scoperte le prime carenze di iniezione nelle guaine di precompressione, proposi, e fui esaudito dal capo di allora, di demolire le travi danneggiate con prove di carico controllate. Scoprimmo che le resistenze residue erano ancora abbondantemente superiori ai carichi previsti in progetto. Questo fatto mi permette di fare le osservazioni riportate prima sulla affidabilità effettiva dei ponti “crollanti” per decisione mediatica o per non conoscenza delle soluzioni da applicare.

    Vorrei ricordare un ultimo particolare. Il ponte fu costruito da ANAS, e non da Autostrade a cui fu poi ceduto insieme con l’incarico di adeguare alcuni tracciati ancora da raddoppiare o da completare secondo la lungimirante scelta dei governi di allora in quanto Autostrade diveniva titolare diuna rete a pedaggio articolata che poteva spendre i proventi del pedaggio, ricchi in certe regioni, per realizzare infrastrutture in zone non in grado di finanziarle direttamente

    Si finanziava la costruzione di nuove autostrade con le entrate delle autostrade esistenti. Così si è costruito gran parte del nostro patrimonio di autostrade.
     
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    Intervista all'Ing. Saverio Ferrari (link)

    Volendo sintetizzare si potrebbe così riasumere
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    Carichi variabili: 50 kN/m²
    Fu collaudato con "motrici Fiat 690"
    Durante le colonne al casello, si potevano incolonnare in campata centrale anche 4÷5 TIR

    ... E poi altro che si riserva all'ascolto, tipo la qualità dei materiali.

    Una motrice Fiat 690.
    fiat682tractor-md13awzzg61fcan2r9erdlkjtp2e5o71egs11vdpzi
    (ndr: mi risulta che il 6x2 690 di Fiat potesse formare con rimorchio un autoarticolato da 180 kN)
     
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    MorandinTV (link video facebook)

    Una breve video spiegazione sul funzionamento dei ponti strallati tipo Maracaibo tenuta (1970) dal docente del corso di Ponti dell'Università di Roma (Prof. Ing. R. Morandi)
     
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    Un(bel) po' di documentazione sulla (debole) precompressione del calcestruzzo protettivo degli stralli.
    Su segnalazione di lisa_camayana traggo da Understanding Morandi - Part 1 - The Prestressed Conrete Cable Stays
    pubblicato da r e t r o f u t u r
     
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    Chi ha inventato il ponte strallato con stralli in CAP e trave tampone in semplice appoggio?

    Tutti a dire Morandi....

    ....ma a ben guardare Eduardo Torroja nel 1926 aveva già realizzato qualcosa di molto (molto!) simile per l'acquedotto di Tempul (Spagna).

    Ecco qualche immagine interessante:



    Lo stesso ingegnoso uso del fenomeno dell'autocompressione della travata

    tempul5

    Lo stesso uso delle selle gerber e della travata tampone centrale a chiusura dello schema (che serve moltissimo anche per il controllo degli assestamenti)

     
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    Copio e incollo da Facebbok:

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    L'ING. MARTINELLO intervistato da Tiziano Zaccaria per la rivista VIVERSANI E BELLI in merito alla TRAGEDIA DEL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA

    PONTE MORANDI - L'INTERVISTA ALL'ESPERTO

    Abbiamo chiesto un parere all'ing. Settimo Martinello, Direttore Generale di 4 Emme Service Spa, società di Bolzano, con sedi in tutta Italia, leader nel settore delle ispezioni e verifiche dello stato dei ponti.

    La tragedia di Genova era in qualche modo annunciata?

    Da anni sostengo che migliaia di ponti italiani sono a rischio. Infatti ogni anno ne crollano alcuni, solo che non fanno notizia, perché non sono importanti come quello di Genova e non causano vittime. Il viadotto Polcevera aveva certamente dei problemi legati alla tipologia dei tiranti (chiamarli stralli è tecnicamente improprio) soggetti a sforzi di flessotensione nei punti di ancoraggio. Era un problema noto, legato alla precompressione della camicia di calcestruzzo che avvolge i cavi di acciaio ed al tipo di vincolo sulla testa della torre e sull'impalcato.

    Ma qual'è allora la differenza tra strallo e tirante?

    Il termine strallo deriva dal gergo marinaresco. Lo strallo è una delle funi d'acciaio che trattengono l'albero di una barca a vela collegandone la testa allo scafo. E' un elemento, quindi, che sopporta esclusivamente una sollecitazione di trazione ed in particolare porta uno snodo ai suoi estremi, snodo che fa da cerniera permettendo la rotazione nei punti di ancoraggio. Al contrario un tirante è un elemento con una sezione rigida ed è fissato ai suoi estremi con un grado di vincolo (vedi il tirante del ponte Morandi che ha una sezione rigida di calcestruzzo ed è ancorato sia in testa torre sia all'impalcato con un notevole grado di vincolo). Il grado di vincolo impedisce la rotazione e sottopone il tirante, nei pressi dei punti di ancoraggio, ad uno sforzo oltre che di trazione anche di flessione e torsione. Valutare il grado di sollecitazione di queste aree è molto difficile sopratutto quando interviene anche il fenomeno della fatica, miliardi di cicli di sollecitazioni di segno diverso e della corrosione.

    Perché migliaia di ponti sono a rischio?

    I ponti sono perlopiù strutture isostatiche, ovvero sono semplicemente appoggiate su delle spalle o delle pile. In Italia gran parte sono stati costruiti negli anni 1950-1970, in calcestruzzo armato, a volte anche precompresso, in epoca in cui si era convinti che il calcestruzzo fosse un materiale eterno. Oggi, che abbiamo compreso i limiti di questo materiale, sappiamo che tutti i ponti realizzati in calcestruzzo in quegli anni abbisognano di interventi di manutenzione straordinaria che consenta di prolungare la loro vita utile. Senza questi interventi, questi ponti, che oggi hanno 50-60 anni, comportano un elevato grado di rischio che andrà aumentando sensibilmente nel medio periodo.
    In questa tipologia di ponti gli sforzi di trazione e taglio sono supportati dalle armature metalliche. Armature che sono protette, attraverso il calcestruzzo, dal contatto con acqua ed umidità. Questo spessore di materiale si chiama "copriferro" e nelle condizioni reali ha uno spessore di 1-4 cm. Ma il calcestruzzo ha una sua vita utile, trascorsa la quale (quando la carbonatazione supera lo spessore del copriferro) l’umidità passa attraverso ed inizia un processo di ossidazione, processo peraltro espansivo che produce il distacco del copriferro ed un conseguente aumento della velocità di corrosione. Oltretutto in quegli anni (e spesso anche oggi) gli appalti funzionavano con la regola del massimo ribasso, e di conseguenza, per logiche economiche, la qualità del materiale non è il massimo. Ha presente quando nei sottopassi o sotto i ponti si vedono delle strisce di colore nero? Quello è il primo ossido che inizia ad uscire dalle microfessure. L'ossidazione dei ferri è inoltre un fenomeno "espansivo", pertanto il copriferro si distacca incrementando il contatto tra ferro e umidità. Quando si innesca la corrosione nell'arco di dieci-venti anni il ferro diventa polvere e il ponte diventa un corpo senza ossa.

    Quanti sono i ponti in Italia?

    Sono abbondantemente oltre un milione considerando che ogni singola campata di viadotto è di per se un ponte. Quelli monitorati, intendendo per monitoraggio un processo di visite ispettive codificato, sono qualche decina di migliaia. Di quelli sappiamo tutto, degli altri quasi nulla. Spesso le amministrazioni locali, senza risorse economiche né competenze, non sanno nemmeno di quanti ponti dispongono e tantomeno le loro condizioni di salute. Tenga conto che per verificare le condizioni di degrado si deve attuare un processo ispettivo che comporta diverse ore di verifica, con le difficoltà di accesso all'intradosso dei ponti (sotto) in tutti i punti fondamentali. I dati raccolti sono poi inseriti in un programma gestionale che storicizza le ispezioni e le mette in confronto nel tempo. Peccato però che solo poche amministrazioni sono al passo coi tempi.

    Cosa occorrerebbe fare?

    Innanzitutto conoscere, attraverso le ispezioni, lo stato di degrado. Sulla base poi delle indagini, spesso anche semplici, si procederà alla progettazione di un intervento di normale manutenzione o di consolidamento. Se si interviene preventivamente i costi sono alla portata, se invece si interviene quando il fenomeno della corrosione è già innestato, i costi si moltiplicano e diventa più conveniente rifare il ponte con costi e disagi incalcolabili.
     
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    Bene, adesso, dopo molte chiacchiere, vediamo qualcosina di un po' più tecnico.
    Su indicazione di un avventore del bar (che ringrazio vivamente), consideriamo
    Informes de la Construcción Vol. 21, nº 200, Mayo de 1968
    e vediamo un poco cosa si scriveva 50 anni fa sul ponte sul Polcevèra

    Viaducto sobre el Polcevèra en Génova - Italia (link - PDF)

    Buona lettura
     
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    Finalmente, a pagina 10, si vede come sono ancorati i trefoli in sommità alle antenne. Che era una curiosità che avevo da quando guardo le foto di queste parti abbastanza esili del ponte.
    Ovvero i trefoli non sono ancorati in sommità, ma con raggio di curvatura abbastanza stretto deviano andando a "trefolare" anche lo strallo opposto.
    Alla fine i trefoli immagino siano stati tesati sia dalla testata sinistra (in basso all'attacco dello strallo con l'impalcato), che dall'altro.

    Ma.............questo significa che il cedimento dello strallo di destra, giocoforza, provoca il cedimento anche dello strallo di sinistra.
    E pertanto le varie simulazioni, il cremoniano delle forze, che vedo girare in rete non hanno senso.
     
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426 replies since 19/8/2018, 19:20   28177 views
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