Il Bar dell'Ingegneria

Su Morandi

Quello che diceva l'Ing. Riccardo, quel che si dice oggi

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  1. quattropassi
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    Gabriele Camomilla: Il ponte era oggetto di ispezioni accuratissime e costanti, anche alla sommità dei piloni 90 metri dal suolo.

    Durante uno di questi controlli scoprimmo che sull’ultima porzione di uno strallo, in cima alla struttura del numero 11, sullo strallo lato Genova (lato nord), il cemento aveva lasciato scoperta una porzione d’acciaio e questo aveva portato alla corrosione per dissoluzione di circa il 30 % dei trefoli. Va sottolineato che le azioni a cui l’acciaio portante dello strallo lavorava (circa 7.000 kg) erano di gran lunga inferiori alle capacità di resistenza dell’acciaio che lo costituiva (15.000 kg).

    Il difetto costruttivo era questo: i fili ad altissima resistenza avrebbero dovuto essere tra loro tutti distanziati per essere tutti avviluppati dal calcestruzzo, che ha un notevole potere di protezione dalla corrosione delle strutture di acciaio. A causa di un difetto costruttivo, invece, tutti questi fili si sono trovati impacchettati in sommità alla pila, per cui non erano bene avviluppati dal calcestruzzo. Questo consentiva il passaggio di una parte di aria, e quindi l’attacco dell’acciaio.

    In pochi giorni avviammo l’intervento. Allora non c’era una legge che burocratizzasse la manutenzione, quindi fu relativamente semplice farlo, a parte le discussioni sul “come” farlo. Autostrade aveva una sua società di costruzioni, Italstrade Spa sempre IRI con la sua filiale locale ISA Appalti, e con essa avviammo l’intervento.


    ...
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    Ing. Gabriele Camomilla: Perché stiamo parlando degli anni sessanta. Perché stiamo parlando di uno dei primi progetti di ponti strallati al mondo che ha dato poi le basi per uno sviluppo tecnologico sui ponti strallati a livello internazionale. Perché in quegli anni non c’erano le tecnologie di oggi, in cui i trefoli sono inseriti in guaine in polietilene pesante ed ingrassati. Da non confondere con le abituali tecniche di protezione dei precompressi “normali”, basate su trefoli inseriti in guaine d’acciaio in cui sono pompati cementi speciali (sia per prestazioni che per reologia) per la protezione dell’acciaio.

    Nello strallo la protezione era costituita da conci in calcestruzzo che a strallo tesato, venivano precompressi con appositi ulteriori cavi, che impedivano che detto rivestimento protettivo andasse in trazione e si fessurasse al passaggio dei veicoli e/o per motivi di temperatura o altro Quella era la tecnologia innovativa morandiana per proteggere l’acciaio in un ambiente soggetto a forti aggressioni anche per come funzionano gli stralli che sono degli appoggi “dall’alto”, mobili sotto traffico.

    Il calcestruzzo era precompresso, per garantire l’assenza di fessure; solo in seguito si sono sviluppati gli stralli separati ad “arpa” ricoperti di polietilene pesante come quelli usati nella riparazione. La precompressione però la rendeva difficile come rende difficile qualsiasi demolizione incontrollata.

    Su questo vorrei evidenziare un aspetto di cui si è parlato in questo giorni molto poco e in cui invece si è fatto molta comunicazione allarmistica.

    Molti ponti in cui si raccontano problematiche di crollo imminente non stanno crollando ma hanno problemi sui copriferro carbonatati dalla CO2 e non più protettivi dei ferri esterni che per questo arrugginiscono ed espellono, con l’aumento di volume degli ossidi che si sono formati, la parte esterna del calcestruzzo non più protettiva Lo spessore di questi copriferro è molte volte più basso dello spessore delle protezioni degli stralli del Polcèvera che, per carbonatarsi completamente, hanno bisogno di più dei 60 anni passati. Tutti questi ponti aggrediti, ma ancora portanti, avrebbero bisogno di una manutenzione che ricostruisse le protezioni utilizzando, per esempio, malte reoplastiche a ritiro compensato frutto del genio del prof. Collepardi e la protezione catodica delle armature, altra eccellenza italiana applicata per esempio da me su alcuni ponti del vecchio Bologna Firenze e più recentemente dall’ANAS sul viadotto Sfalassà della Salerno Reggio credo nel 2011, prima che si interrompesse il suo completamento.

    Ci sono tecnologie oggi che consentono di poter rifare i copri ferro con una protezione catodica delle armature con interventi molto semplici. La tecnologia di intervento per contrastare il degrado e fare manutenzione è assolutamente disponibile, ma nessuno la impiega in modo sistematico; ripeto comunque che i ponti in linea di massima non corrono pericoli di crollo; certo dovrebbero essere attentamente valutati da esperti terotecnologi il cui unico vivaio oggi è costituito dai sorveglianti della rete autostradale a pedaggio, quella che si vuole statalizzare.
     
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426 replies since 19/8/2018, 19:20   28191 views
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