Il Bar dell'Ingegneria

Su Morandi

Quello che diceva l'Ing. Riccardo, quel che si dice oggi

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  1. quattropassi
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    Andrea Dari (INGENIO): Che tipi di controlli eseguivate sul ponte ?
    Gabriele Camomilla: La sorveglianza continua nasce in Italia con il crollo del viadotto di Ariccia. Il 18 gennaio del 1967 una arcata centrali del Ponte di Ariccia ricostruita alla meglio nel dopoguerra, cadde rovinosamente e vi furono morti e feriti. Si era così poco abituati a questo problema che si pensò, inizialmente, a un attentato.

    Fu a seguito di quel crollo che si evidenziò l’esigenza della sorveglianza (non la manutenzione ancora)e nacque una norma che prevedeva che tutti i ponti dovevano errore controllati trimestralmente e, di conseguenza, le Autostrade a pedaggio, neonate, crearono uffici tecnici speciali in loco per fare detta sorveglianza. In seguto, con la creazione nella Società Autostrade della Direzione Studi e Manutenzione sulla base delle segnalazioni si creò un sistema scientificamente articolato che definiva il dove, ed il quando intervenire e come farlo: era nata la terotecnologia dei ponti. Naturalmente valutavano anche quanto sarebbero costati gli interventi, molti dei quali originali e specifici per riparare o mantenere. In essi le tecniche di intervento sui copri ferro, le più diffuse, ma anche quelle sui giunti, sugli appoggi e poi sui ritegni sismici reversibili, che hanno reso i ponti autostradali potenzialmente immuni dal terremoto per linee omogenee, cioè ad affidabilità sismica dello stesso livello.Le manutenzioni seguivano quindi queste direttive pianificate e preventive:

    Si eseguivano controlli essenzialmente di tipo visivo e non distruttivo eseguiti con grande frequenza. Questo prima dello scoprimento del difetto sulla pila 11; le altre due furono passate al setaccio con prove tradizionali di carbonatazione con fenoftaleina e rilievo dei difetti a cui furono aggiunti dei rilievi di deformazione esterni da trasmettere in un computer di stoccaggio. Poi si definirono dei controlli innovativi periodici basati su misure di flusso magnetico in grado di rivelare la variazione delle tensioni nei cavi: un aumento avrebbe significato potenziali riduzioni di sezione resistente. All’epoca la precisione dell’analisi modale dei modi di vibrare non era ancora ad un livello di precisione accettabile.

    Naturalmente le due pile 9 e 10 risultarono in perfette condizioni; solo sulla 10 si aggiunsero delle placcature esterne in acciaio per proteggere alcune disgregazioni superficiali della protezione che però non interessavano i tiranti.

    La tecnica a flusso magnetico era stata messa a punto negli anni 80 da un ingegnere romano, di cui non ricordo il nome, da noi interpellato per valutare la precompressione residua di alcune travi precompresse, fatte cadere e danneggiate dalle scosse sismiche mentre erano in fase di montaggio sul viadotto Tagliamento in costruzione dell’Autostrada Udine Carnia, la stessa tecnica usata per i tiranti del viadotto genovese Questo ci consentì di migliorare l’attività di monitoraggio. Il metodo infatti era molto sensibile, a differenza dell’analisi modale dell’epoca, che di fatto da risultati apprezzabili quando il danno è già visibile ad occhio nudo.
    ****
    Il Italia è nata la prima autostrada al mondo. Siamo stati noi con l’Impresa Puricelli di Milano, divenuta poi Italstrade a “inventare” e poi insegnare negli anni 20 e 30 come si realizzavano le autostrade. Dagli anni sessanta l’autostrada Firenze Bologna divenne il riferimento delle scuole di ingegneria dei ponti di tutto il mondo.
    Nei grandi 80 ponti presenti erano state adottate di fatto tutte le diverse tecnologie dei ponti che si conoscevano allora. Questo fu fatto al fine che ogni impresa titolare di lotto realizzasse quella in cui era più esperta (un viadotto ad arco gigantesco lo fece proprio Morandi).
    Ne derivò una varietà di tecniche amplissima, realizzata con velocità record e, naturalmente, con una serie di problemi successivi quando l’arteria divenne “l’aorta” d’Italia in sviluppo.

    La manutenzione migliorativa divenne una necessità ed una palestra ineguagliabile fu proprio il Bologna Firenze con i suoi mille problemi diversificati da risolvere con un traffico sempre crescente che non poteva interrompersi

    Fu creata quindi una direzione che oltre a occuparsi della manutenzione doveva fare ricerca, individuare tecniche di controllo e monitoraggio, tecnologie di manutenzione. E non ci occupavamo solo della sicurezza strutturale dei ponti ma di tutti i temi collegati alla gestione delle infrastrutture: per esempio le gallerie, i manti autostradali, le barriere di sicurezza, la prevenzione dei fenomeni franosi, , la segnaletica ed il verde specializzato per l’uso stradale…

    ***
    Andrea Dari: Un’ultima domanda. Ma nel 1992 non vi poste la questione della sostituzione del ponte ?
    Gabriele Camomilla: Qualcuno lo propose, ma in primo luogo la fierezza certa sul valore della struttura non disgiunto dal problema della demolizione comunque molto pericolosa per una struttura di quelle dimensioni, che passava sopra ferrovie e abitazioni, in mancanza peraltro di un’alternativa della viabilità genovese. La demolizione implicava una ricostruzione. Decisiva fu l’esperienza dell’Appennino dove, da giovane ingegnere, a seguito della sostituzione di un viadotto di tre campate in cui si erano scoperte le prime carenze di iniezione nelle guaine di precompressione, proposi, e fui esaudito dal capo di allora, di demolire le travi danneggiate con prove di carico controllate. Scoprimmo che le resistenze residue erano ancora abbondantemente superiori ai carichi previsti in progetto. Questo fatto mi permette di fare le osservazioni riportate prima sulla affidabilità effettiva dei ponti “crollanti” per decisione mediatica o per non conoscenza delle soluzioni da applicare.

    Vorrei ricordare un ultimo particolare. Il ponte fu costruito da ANAS, e non da Autostrade a cui fu poi ceduto insieme con l’incarico di adeguare alcuni tracciati ancora da raddoppiare o da completare secondo la lungimirante scelta dei governi di allora in quanto Autostrade diveniva titolare diuna rete a pedaggio articolata che poteva spendre i proventi del pedaggio, ricchi in certe regioni, per realizzare infrastrutture in zone non in grado di finanziarle direttamente

    Si finanziava la costruzione di nuove autostrade con le entrate delle autostrade esistenti. Così si è costruito gran parte del nostro patrimonio di autostrade.
     
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