Il Bar dell'Ingegneria

Su Morandi

Quello che diceva l'Ing. Riccardo, quel che si dice oggi

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  1. zax2013
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    L'ING. MARTINELLO intervistato da Tiziano Zaccaria per la rivista VIVERSANI E BELLI in merito alla TRAGEDIA DEL CROLLO DEL PONTE DI GENOVA

    PONTE MORANDI - L'INTERVISTA ALL'ESPERTO

    Abbiamo chiesto un parere all'ing. Settimo Martinello, Direttore Generale di 4 Emme Service Spa, società di Bolzano, con sedi in tutta Italia, leader nel settore delle ispezioni e verifiche dello stato dei ponti.

    La tragedia di Genova era in qualche modo annunciata?

    Da anni sostengo che migliaia di ponti italiani sono a rischio. Infatti ogni anno ne crollano alcuni, solo che non fanno notizia, perché non sono importanti come quello di Genova e non causano vittime. Il viadotto Polcevera aveva certamente dei problemi legati alla tipologia dei tiranti (chiamarli stralli è tecnicamente improprio) soggetti a sforzi di flessotensione nei punti di ancoraggio. Era un problema noto, legato alla precompressione della camicia di calcestruzzo che avvolge i cavi di acciaio ed al tipo di vincolo sulla testa della torre e sull'impalcato.

    Ma qual'è allora la differenza tra strallo e tirante?

    Il termine strallo deriva dal gergo marinaresco. Lo strallo è una delle funi d'acciaio che trattengono l'albero di una barca a vela collegandone la testa allo scafo. E' un elemento, quindi, che sopporta esclusivamente una sollecitazione di trazione ed in particolare porta uno snodo ai suoi estremi, snodo che fa da cerniera permettendo la rotazione nei punti di ancoraggio. Al contrario un tirante è un elemento con una sezione rigida ed è fissato ai suoi estremi con un grado di vincolo (vedi il tirante del ponte Morandi che ha una sezione rigida di calcestruzzo ed è ancorato sia in testa torre sia all'impalcato con un notevole grado di vincolo). Il grado di vincolo impedisce la rotazione e sottopone il tirante, nei pressi dei punti di ancoraggio, ad uno sforzo oltre che di trazione anche di flessione e torsione. Valutare il grado di sollecitazione di queste aree è molto difficile sopratutto quando interviene anche il fenomeno della fatica, miliardi di cicli di sollecitazioni di segno diverso e della corrosione.

    Perché migliaia di ponti sono a rischio?

    I ponti sono perlopiù strutture isostatiche, ovvero sono semplicemente appoggiate su delle spalle o delle pile. In Italia gran parte sono stati costruiti negli anni 1950-1970, in calcestruzzo armato, a volte anche precompresso, in epoca in cui si era convinti che il calcestruzzo fosse un materiale eterno. Oggi, che abbiamo compreso i limiti di questo materiale, sappiamo che tutti i ponti realizzati in calcestruzzo in quegli anni abbisognano di interventi di manutenzione straordinaria che consenta di prolungare la loro vita utile. Senza questi interventi, questi ponti, che oggi hanno 50-60 anni, comportano un elevato grado di rischio che andrà aumentando sensibilmente nel medio periodo.
    In questa tipologia di ponti gli sforzi di trazione e taglio sono supportati dalle armature metalliche. Armature che sono protette, attraverso il calcestruzzo, dal contatto con acqua ed umidità. Questo spessore di materiale si chiama "copriferro" e nelle condizioni reali ha uno spessore di 1-4 cm. Ma il calcestruzzo ha una sua vita utile, trascorsa la quale (quando la carbonatazione supera lo spessore del copriferro) l’umidità passa attraverso ed inizia un processo di ossidazione, processo peraltro espansivo che produce il distacco del copriferro ed un conseguente aumento della velocità di corrosione. Oltretutto in quegli anni (e spesso anche oggi) gli appalti funzionavano con la regola del massimo ribasso, e di conseguenza, per logiche economiche, la qualità del materiale non è il massimo. Ha presente quando nei sottopassi o sotto i ponti si vedono delle strisce di colore nero? Quello è il primo ossido che inizia ad uscire dalle microfessure. L'ossidazione dei ferri è inoltre un fenomeno "espansivo", pertanto il copriferro si distacca incrementando il contatto tra ferro e umidità. Quando si innesca la corrosione nell'arco di dieci-venti anni il ferro diventa polvere e il ponte diventa un corpo senza ossa.

    Quanti sono i ponti in Italia?

    Sono abbondantemente oltre un milione considerando che ogni singola campata di viadotto è di per se un ponte. Quelli monitorati, intendendo per monitoraggio un processo di visite ispettive codificato, sono qualche decina di migliaia. Di quelli sappiamo tutto, degli altri quasi nulla. Spesso le amministrazioni locali, senza risorse economiche né competenze, non sanno nemmeno di quanti ponti dispongono e tantomeno le loro condizioni di salute. Tenga conto che per verificare le condizioni di degrado si deve attuare un processo ispettivo che comporta diverse ore di verifica, con le difficoltà di accesso all'intradosso dei ponti (sotto) in tutti i punti fondamentali. I dati raccolti sono poi inseriti in un programma gestionale che storicizza le ispezioni e le mette in confronto nel tempo. Peccato però che solo poche amministrazioni sono al passo coi tempi.

    Cosa occorrerebbe fare?

    Innanzitutto conoscere, attraverso le ispezioni, lo stato di degrado. Sulla base poi delle indagini, spesso anche semplici, si procederà alla progettazione di un intervento di normale manutenzione o di consolidamento. Se si interviene preventivamente i costi sono alla portata, se invece si interviene quando il fenomeno della corrosione è già innestato, i costi si moltiplicano e diventa più conveniente rifare il ponte con costi e disagi incalcolabili.
     
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